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GIUDICARE GLI ALTRI E’ METTERE ORDINE IN SE STESSI?



Nel vocabolario, il significato di giudicare è “formulare dentro di sé, o esprimere, un giudizio di valore, di merito, di biasimo su persone o cose”. Ma soffermandosi un po’ di più si legge “Più in particolare, formulare un giudizio di natura morale […] Spesso il giudizio di severità o di condanna è implicito”.

A chi non è mai capitato giudicare troppo velocemente una persona o un suo atteggiamento?

Nella maggior parte delle situazioni si giudica la persona senza conoscerla per davvero.

Perché succede? Perché l’uomo ha bisogno di categorizzare. Per natura, egli mostra la necessità di semplificare una realtà complessa, di dare ad essa ordine attraverso schemi e categorie specifiche, attuando di conseguenza una selezione sociale. Questo processo porta la persona a rassicurarsi perché è più semplice riconoscere ciò che è familiare da ciò che non lo è, quindi, ciò che è protezione da ciò che è pericolo.

Purtroppo come scriveva W. Shakespeare “L’ordine è la virtù dei mediocri”. La categorizzazione non sempre riesce a portare ordine, perché se da un lato permette di semplificare la complessità sociale, dall’altro costruisce schemi pericolosi per la comprensione della realtà, dando vita agli stereotipi, cioè opinioni rigidamente precostituite e generalizzate, che prescindono da valutazioni di singoli casi. Gli stereotipi più comuni comprendono opinioni su gruppi sociali basate su etnia, sessualità, nazionalità, religione, politica e molto altro. Questo porta le persone a relazionarsi di conseguenza solo con persone che possiedono determinate caratteristiche. Tutto ciò permette alle persone di proseguire con facilità il proprio cammino, ma a testa bassa non permettendo loro di godere del variegato panorama che li circonda durante questo cammino.

Come potremmo, quindi, godere del panorama?

Pensando. Pensare è difficile, spesso si sceglie la via più semplice, per mancanza di tempo, di volontà o di interesse e di conseguenza si categorizza e si va avanti illudendosi di aver dato “ordine alle cose”. Il problema di fondo è che l’uomo non è ordinato di natura. Prendiamo come esempio il sogno. Il sogno è la cosa più naturale dell’uomo eppure è la più disordinata. C’è chi prova a darne un significato cercando di scoprire i numeri da giocare, sfidando la fortuna e chi, invece, crede che siano solo “residui diurni”, ma chi capisce davvero cosa vogliono dirci i sogni? Ecco, il sogno aiuta a pensare, non a categorizzare. Il sogno, per capirlo deve essere scritto, raccontato, pensato e interpretato. Il sogno è il prodotto dell’inconscio e in esso regna l’oscurità, il “pericolo”, il caos. È questo il vero disordine da ordinare. Ma in questo caso è molto difficile. Se non lo si riesce a fare all’interno di noi stessi, allora la via più semplice è rivolgersi all’esterno.

Sàndor Màrai, scrittore del ‘900 affermava “con l’ordine esteriore si cerca di mascherare un disordine interiore”. Ciò che non è ordinato in noi lo si prova ad ordinare negli altri? Vi è mai capitato di giudicare una persona e poi riconoscere in quella persona un atteggiamento simile al vostro? Questo potrebbe essere un processo di proiezione. Si proietta nell’altro, involontariamente, una propria caratteristica che non si accetta e la si giudica severamente, condannandola. Così il compito risulta più semplice, è più facile, infatti, giudicare gli atteggiamenti dell’altro rispetto ai nostri. Spesso i nostri atteggiamenti non sono consapevoli neanche a noi stessi, così proiettiamo nell’altro, involontariamente, delle nostre caratteristiche negative. Così avviene anche per quelle positive, ma mentre quest’ultime ci avvicinano alla persona, le prime ci allontanano. Ma da chi? Dagli altri o da noi stessi?

Se ci chiedessimo perché quella determinata caratteristica, in quella persona non ci piace non saremmo in grado di fermarci solo alla prima risposta, perché questa non sarebbe sufficiente, ma altre risposte ci porterebbero a capire che ciò che non accettiamo nell’altro è un qualcosa che appartiene alla nostra persona.

Jung scriveva “Tutto ciò che infastidisce negli altri può portare ad una maggiore comprensione di noi stessi”.

Se iniziassimo a pensare e non a categorizzare potremmo proseguire il nostro cammino, mettendoci più tempo, certo, ma utilizzando quel tempo per alzare la testa e godere, finalmente, del panorama che ci circonda.


Dott.ssa Fabiola Del Cioppo

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