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COMUNICAZIONE NON VERBALE .Il linguaggio delle emozioni.


La comunicazione non verbale, definita anche linguaggio del corpo, è la trasmissione di informazioni e messaggi che vanno oltre il linguaggio semantico parlato e scritto.

Avviene infatti tramite segnali non verbali di diverso tipo, come le espressioni facciali, i gesti, gli sguardi, l’intonazione della voce, la distanza tra gli interlocutori e molto altro.

L’area del corpo più importante sul piano espressivo è rappresentata dal volto che costituisce, infatti, il canale privilegiato per esprimere emozioni e stati mentali.

Le emozioni si manifestano soprattutto nel viso, non nel corpo. Il corpo rivela piuttosto in che modo le persone reagiscono all’emozioni.

Se una persona è arrabbiata, il suo corpo può essere teso e ciò lo si nota dalla tensione muscolare nelle braccia e nelle gambe e dalla postura rigida, la persona, inoltre, può chiudersi in se stessa, ma questi dettagli possono presentarsi anche quando una persona ha paura. Quindi, se si vuole capire l’emozione che una persona sta provando si deve osservare il suo volto. Il sistema di codifica delle espressioni facciali è noto come FACS (Facial Action Coding System), sviluppato nel 1978 da Paul Ekman e Wallace V. Friesen. Si concentra principalmente su due aree del volto:

  • Una superiore, che comprende fronte, sopracciglia e occhi;

  • Una inferiore, relativa alle guance, al naso, alla bocca e al mento.

Più di un secolo fa Charles Darwin (1872) affermava che l’espressione delle emozioni è universale e biologicamente determinata. Recentemente la ricerca scientifica ha dimostrato in parte ciò che sosteneva Darwin, e cioè che l’espressività di alcune emozioni è effettivamente universale, anche se ci sono differenze culturali per quanto riguarda il contesto in cui le emozioni si manifestano:

In un esperimento sono stati presentati filmati stressanti a studenti universitari in Giappone e negli Stati Uniti. Quando erano soli, giapponesi e americani manifestavano le stesse emozioni, in presenza di un’altra persona, e cioè quando entravano in gioco le norme culturali sul controllo della mimica facciale, i giapponesi tendevano molto di più degli americani a mascherare la manifestazione di sentimenti sgradevoli.

I problemi riguardanti la comprensione delle espressioni facciali nascono perché le persone per lo più non si guardano in faccia. Perché la maggior parte del tempo non si guarda in faccia la persona con cui si sta conversando?

È buona educazione non fissare le persone se non si vuole risultare maleducati o invadenti. Guardare fissa una persona in un volto è una cosa intima. Ci si può prendere questa libertà solo quando cerchiamo l’intimità, invitando l’altro a ricambiare lo sguardo.

Si distoglie lo sguardo proprio nel momento in cui si avverte che l’altro può manifestare un emozione. Perché?

Spesso evitiamo di guardare in faccia una persona per non essere obbligati a fare qualcosa per lei: se il suo viso manifesta rabbia o fastidio, una volta che l’abbiamo visto e la persona se ne accorge, siamo tenuti a scoprire se è per causa nostra; se mostra tristezza, si dovrebbe offrire conforto e aiuto nel caso in cui la persona manifesta paura. In molte interazioni sociali l’ultima cosa che si vorrebbe è farsi carico dei sentimenti della persona che ci sta di fronte.

C’è un’interazione sociale, però, in cui farsi carico dei sentimenti dell’altro è il compito fondamentale. Quale? La psicoanalisi.

Lo psicoterapeuta deve sapere come le persone vivono le proprie emozioni. Deve essere pronto a vedere ciò che il paziente non mostra volontariamente, a sentire ciò che non gli viene detto verbalmente. Non può basarsi solo sulle parole perché talvolta neanche il paziente è consapevole delle emozioni che sta provando, infatti questo tipo di linguaggio può essere consapevole e mostrare con la mimica ciò che non si riesce a verbalizzare, ma anche inconsapevole e manifestare ciò che non si riesce a mentalizzare.

Lo psicologo deve conoscere la comunicazione non verbale per aiutare il paziente, ma deve essere anche consapevole dell’espressione che la sua mimica esercita sul paziente. Capire l’esperienza emotiva non vale solo per la relazione con gli altri ma anche per il rapporto con se stessi.

La comunicazione non verbale è un ponte che il nostro inconscio attraversa per manifestarsi alla coscienza.


Dott.ssa Fabiola Del Cioppo

Psicologa Clinica

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